ARCHETIPO
Storia e cultura del rifugio alpino
Luca Gibello
Luca Gibello, architetto e dottore di ricerca, è direttore responsabile de “Il giornale dell’architettura” e presidente dell’Associazione Cantieri d’alta quota.
Fin dal nome con il quale vengono designati -”capanne” o “hütten”-, i ricoveri in alta montagna portano il riferimento ad un archetipo architettonico cruciale. Il mito della capanna primitiva, di ascendenza vitruviana, è centrale nelle riflessioni dei trattatisti dell'Illuminismo, che lo legano al mito delle origini di Rousseau. Per Marc-Antoine Laugier la capanna rustica è l'emblema del connubio tra natura e ragione applicato all'arte del costruire, e dunque fondamento primo di qualsiasi azione progettuale legata all'abitare, che implica un'evoluzione concettuale rispetto all'esigenza primordia del ripararsi.
In montagna, i rifugi degli esordi sono esattamente questo: capanne che, rispetto ai precedenti ripari ricavati negli anfratti naturali o sotto pietre sporgenti, ospitano i primi ardimentosi che osano spingersi oltre i pascoli per esplorare, misurare, comprendere le desolate lande dell'alta quota le cui concrezioni, da “errore” o “accidente della natura”, divengono paradigma palingenetico: i “pilastri” e le “cattedrali della terra”, secondo John Ruskin[1].
Costoro sono savants, scienziati e letterati che vincono i pregiudizi sull'Alpe come luogo remoto e arcano: uno spazio della conoscenza che, in seguito, si aprirà al turismo, palestra d'inedite pratiche esperienziali[2]. Nel secondo Ottocento, Leslie Stephen definisce le Alpi The Playground of Europe.
1753: Marc Antoine Laugier, frontespizio dell’Essai sur l’architecture
[2] Cfr. i due volumi di Antonio De Rossi, La costruzione delle Alpi. Immagini e scenari del pittoresco alpino (1773-1914), Donzelli, Roma, 2014; La costruzione delle Alpi. Il Novecento e il modernismo alpino (1917-2017), Donzelli, Roma, 2016
immagine di copertina: 1853, primo rifugio ai Grands Mulets del Monte Bianco, Francia (3050 m)